C'era una volta...la fiera
Se si escludono le diverse feste a carattere religioso che si svolgono nel corso dell’anno, la “fiera dei morti” è senza dubbio la manifestazione più seguita e sentita ad Amantea (e dintorni).
Essa, inoltre, fa sicuramente parte delle tradizioni locali più antiche e longeve ed affonda le sue solide radici in un passato che risale ad almeno tre secoli fa.
Per tutti questi motivi, abbiamo raccolto in questa pagina diversi “contributi” che (speriamo) potranno farvi assaporare a pieno la storia, la tradizione ed il folklore di questa manifestazione.
Purtroppo non disponiamo di immagini “d’epoca” e, quindi, per adesso dovrete accontentarvi di quelle di alcune fotografie realizzate nel corso delle edizioni della fiera di questi ultimi anni.
Negli anni ’30, ma anche giù di li, fino alla seconda guerra mondiale, la Fiera era una grossa occasione che mobilitava l’ingegno, la fantasia e l’operosità.
Allora non c’erano le bancarelle, ma la merce veniva esposta in apposite baracche fatte di solidi tavoloni, assemblati con gusto ed efficienza da mastro Ventura Brusco che iniziava la costruzione di questi magnifici esemplari almeno quindici giorni prima dell’inizio della Fiera.
Le “Baracche”, che non avevano niente da invidiare ai negozi dell’epoca, diventavano veri e propri empori che non ospitavano solo i “ferari”, ma anche qualcuno dei più noti commercianti di Amantea.
Ricordo, ad esempio, Gaetano Notti che, pur avendo l’esercizio in piazza Commercio, per fare più affari, prenotava la sua
“Baracca” al “Largo dei Cappuccini”, che era il posto più centrale della manifestazione.
A sera il piccolo villaggio della “fera”, lentamente si svuotava per la felicità di bambini e ragazzi che, nella compiacente luce crepuscolare, sperimentavano un nuovo campo per giocare “all’ammucciatella”.
’A FERA ’I L’ANIMALI
Il 26 ed il 27 ottobre, per le cave di S. Bernardino si riversavano mandrie di animali che sfilavano baldanzosamente per “la taverna”, attraversavano via Margherita e si andavano ad attestare sulla spiaggia del mare, fra il ponte Margherita e il ponte della Stazione.
Vacche, jencarielli, purcelluzzi, ciucciarielli, muli, piecure, crape, cavalli, animali ’ncaggiati, carri ccu paglia, fienu e cuverte andavano a prendere posizione già dalla notte precedente l’apertura della “Fera” o, al più tardi, alle prime luci dell’alba quando iniziavano le prime contrattazioni.
Gli allegri bivacchi notturni alleviavano le fatiche dei lunghi spostamenti a piedi dai paesi vicini ed un buon bicchiere di vino rendeva regale il pasto, a base di “pistilli, ova vullute e suppressate”, consumato sull’arenile accanto alle proprie bestie, riparati da mantelli a ruota e da grandi ombrelli verdi col manico di legno.
Nei giorni della fiera, se faceva caldo, squadre di intraprendenti ragazzi armati di “vummulelle” giravano fra i contraenti offrendo bicchieri di acqua fresca al prezzo di £. 5, quando la concorrenza era molta e la richiesta poca,
ma pronto a raggiungere anche le 10 £. nelle ore più calde o nel corso di scambi particolarmente verbosi, lunghi e difficili.
Finiti i baratti, ciascuno con le sue cose e con i suoi animali (vecchi e nuovi), riprendeva la via del ritorno riattraversando le vie cittadine senza nessun intoppo per la circolazione fatta soprattutto dal camion ’i Ciccu u ’mpacchio, d’u traìnu ’i Giuvanni ’u Niru e d’u postale.
Di quei tempi resta solo il ricordo… e noi della redazione gradiremmo ricevere qualche foto.
da un’intervista di Pino Del Pizzo a Fortunato Marinari e Pietro Morelli
per la trasmissione radiofonica “C’era una volta” – Radio Costa - 1982\
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