martedì 13 marzo 2007

Dischi rigidi : MTBF esagerati da parte dei produttori

Uno studio della Carnegie Mellon University, situata a Pittsburgh, Pennsylvania USA, ha reso noto il frutto di uno studio condotto su 100.000 dischi rigidi nell'arco di un periodo di tempo non specificato. I più assidui lettori di Hardware Upgrade non potranno non notare l'affinità del campione utilizzato con quello che ha permesso a Google di far crollare molte certezze nel settore, grazie ad uno studio simile riassunto in un nostro recente focus.

Non è chiaro se i dati utilizzati dalla Carnegie Mellon University attingano almeno parzialmente da quelli di Google, in quanto come fonte vengono dichiarati non meglio identificati service providers, centri di calcolo e ricerca. Quello che è chiaro invece è che le conclusioni a cui sono giunti gli studenti di Pittsburgh confermano molte delle affermazioni già esposte da Google, aggiungendo inoltre altra carne al fuoco.

La più importante riguarda il famigerato MTBF, Mean Time Between Failure. Questo indicatore, già controverso di suo in quanto molto spesso interpretato in diversi modi anche da personale esperto, può essere preso come metro per l'affidabilità di un disco rigido. Siamo ovviamente di fronte a stime, sia chiaro, oltre che ad una semplificazione del problema; a grandi linee però anche dalle stesse case produttrici di dischi rigidi è sempre stato usato come parametro per valutare l'affidabilità di un disco.

Non mancano dischi dal MTBF di 1,5 milioni di ore, pari a circa 171 anni di utilizzo, come per esempio il Seagate Cheetah X15 SCSI/SAS. Ebbene, stando agli studi condotti, questo valore sembrerebbe di gran lunga amplificato rispetto alla realtà dei fatti, fino ad un fattore moltiplicativo di 15.

Rientrano inoltre nello studio anche unità SCSI/SAS, non citate da Google nel precedente studio. I vantaggi di queste costose unità sarebbero esclusivamente in termini di performance, in quanto il tasso di rottura sarebbe del tutto assimilabile a quello delle unità Parallel ATA o Serial ATA.

Confermate anche le conclusioni riguardanti la temperatura, che non influirebbe in maniera significativa sulla durata di un disco. La conclusione degli studi individua soprattutto nell'usura la maggiore probabilità di rottura di un disco, indipendentemente dalle condizioni ambientali, dall'interfaccia e dal MTBF dichiarato. Più un disco è stato utilizzato nel tempo dunque, maggiore sarà la sua possibilità di danneggiarsi.

La durata media di un disco utilizzato in modo massiccio e continuativo è stata di circa 7 anni; per quanto riguarda i dischi usciti meglio dalla prova (come gli ottimi Seagate Cheetah X15), tale valore sale a 11-13 anni, molto lontani comunque dai 171 dichiarati. La media in ogni caso si assesta sui 7 anni, indipendentemente da tutto. A corollario delle conclusioni spiccano le parole di Garth Gibson, uno dei professori associati della menzionata università, secondo il quale non vi sarebbe motivo per scegliere un disco SCSI/SAS o Fibre Channel, se non per le prestazioni.

Maggiori informazioni su Dailytech.

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